martedì 9 novembre 2010

Capitolo 1: Il pollice

Prima parte: La voce di Shura
Capitolo 1: Il pollice


Sono nato il 17 Giugno, 1925, nella moderna città di Berkley, California.
Mio padre era Theodore Stevens Borodin, nato negli ultimi anni dell'800.
È stato il primo figlio di Stevens Alexander Borodin che era, in virtù di una strana logica russa sulla gerarchia dei nomi, il primo figlio di Alexander Theodore Borodin. In quanto primogenito, ho ereditato il nome di mio nonno, Alexander Theodore. E, in osservanza all'abitudine russa di dare diminuitivi femminili ai bambini (così come agli animali domestici e alle persone amate, indipendentemente dal loro sesso), io rispondevo al nome di Shura Borodin.
Mio padre era il genitore severo a cui era stato assegnato il ruolo di disciplinatore, per quanto non ricordi abbia mai usato la sua cintura su di me. Aveva l'autorità, ad ogni modo, e la teneva stretta come professore di storia e letteratura ad Oakland, dove gli studenti erano perlopiù portoghesi, e insegnava anche giardinaggio a quei chiassosi teppistelli. Li deve aver impressionati, in qualche modo, poiché il giardino della scuola era ornato di fiori magnifici, e rischiavi la vita a calpestare una delle piante curate dai suoi studenti.
Gli amici di mio padre erano in massima parte russi, emigrati in questo paese nei primi anni venti, come noi. La maggior parte era scappata dal bolscevismo muovendosi ad est, verso la Manciuria, per continuare verso il sud del Giappone. E con l'apertura agli immigrati del presidente Harding, molti sono venuti a San Francisco per iniziare una nuova vita. Insieme a loro c'erano le loro famiglie, le mogli e i bambini. I miei genitori si sono mossi verso queste zone, che avevano un sapore russo, e così io.
Non ricordo di nessun amico personale di mia madre, a parte queste conoscenze in comune con mio padre.
Credo che mio padre fosse davvero orgoglioso di me, ma non sono sicuro del perché io abbia questa impressione. Gli piaceva riferirsi a me come il suo "figlio e capelli", ma non mi ha mai detto nulla della sua infanzia o dei suoi pensieri personali. Tutto ciò che sapevo sulla sua famiglia era che aveva cinque fratelli e sei sorelle, tutti cresciuti Chelyabinsk, e tutti ancora in Russia. Era un avido lettore, soprattutto in russo, e sempre da libri in carta di cellulosa con un'immagine all'interno della copertina che riportavano Riga, o Mosca.
In casa, questi libri di un semplice marrone decorati dai soli titoli, pubblicati in qualche paese sconosciuto, erano sparpagliati ovunque.

Anche mia madre, Henrietta D.D. (Dorothy Dot), era nata negli anni '90 dell'800, in una piccola città nell'Illinois. Ha fatto studi letterari, al college statale di Pullman, Washington. Ha viaggiato molto, e ha deciso usare la poesia per esprimersi. Scriveva su un'enorme macchina da scrivere con una forte irregolarità, che sosteneva essere così distinta che avrebbe potuto distinguerla al pari di una firma.
Aveva un fratello e due sorelle, e tutti vivevano in California. Di fatto, una sorella (e suo marito coi due figli) vivevano vicino a noi a Berkley, in Milvia Street, ma raramente li vedevamo. Un natale, quando eravamo a casa loro, ho scoperto la cantina, e lì ho trovato il più grande di tutti i possibili tesori sotterranei - un organo a canne distrutto in dieci milioni di pezzi. Ho sognato di rimetterlo in sesto un giorno senza dir nulla a nessuno e attaccarlo ad un compressore che facesse partire un continuo accordo in Si minore nel mezzo della notte, giusto per vedere quanto ci avrebbe messo la casa a svuotarsi. Ho chiesto a zio David da dove fosse venuto quell'organo, e ha detto di non averne idea; era lì prima che comprassero la casa. Quando è morto, la casa è stata demolita per costruirci degli appartamenti, e quei bellissimi pezzi di organo a canne sono andati perduti per sempre.
Le opinioni su mio padre venivano in buona parte dalle storie che raccontava e ripeteva a me e mia madre. Ci fu un viaggio che facemmo quando ero molto giovane, in cui comprammo una nuova macchina a Detroit, nell'area dei Grandi Laghi. Abbiamo guidato attraverso la parte sud dell'Ontario per poi rientrare negli Stati Uniti alle cascate del Niagara, nella parte superiore di New York. Apparentemente, gli addetti all'immigrazione avevano notato che stavamo guidando una macchina nuova, ci hanno fermato e chiesto:
"Siete cittadini americani?", così chiese l'ufficiale alla dogana.
"Sì", rispose mio padre, che aveva un chiaro e inequivocabile accento russo.
"Oh", disse l'ufficiale, ponendo la domanda direttamente a mio padre, "Dove siete nato?"
"Chelyabinsk", è stata la risposta, non senza una inconfondibile punta di orgoglio.
"E dove è?"
"In Russia." Posso imitare l'accento quando diceva così, ma scrivendo non è facile. Lo diceva con un piccolo trillo sulla "R", seguito da un'ampia, espansa vocale "A", come in "carrello". Qualcosa tipo "Rascia" o, meglio, "Rrrraaaaaaaascia".
Mia madre prese la parola, cercando di spiegare che mio padre era effettivamente nato in Russia, ma è venuto qui nei primi anni '20 e ha chiesto e ottenuto la cittadinanza americana. Era fatta. Siamo stati invitati nella baracca dell'ufficio immigrazione, e abbiamo risposto ad altre domande. Apparentemente, i sospetti giravano intorno ad una moglie che rispondeva al posto del marito.
"Avete i vostri documenti di naturalizzazione con voi?"
"No, non c'è motivo di portarseli sempre appresso", risposte mio padre.
"Quale è il numero sulla vostra carta di cittadinanza?"
"Non ne ho idea"
"Che prove avete di essere cittadini?"
"Sono un membro dell'Associazione Insegnati Scolastici della California. Devi essere un cittadino per insegnare in una scuola pubblica californiana."
"Come faccio a saperlo?"
"Tutti lo sanno!"
La conversazione ruotava attorno al nostro passaggio in Canada. Il finale fu un classico.
"Se non avete prove della vostra cittadinanza americana", chiese aggressivo l'ufficiale," Com'è che le autorità canadesi vi hanno lasciato entrare nel loro paese?"
La risposta di mio padre fu chiara e incontestabile, "Perché le autorità canadesi sono dei gran signori."
Era fatta. Apparentemente l'uomo del governo teneva lo scherzo, capendo che solo un reale cittadino americano avrebbe potuto avere quel tipo particolare di arroganza. Presto, tornammo sulla nostra strada, nella nostra Ford Modello A del 1929 nuova di zecca.
Un altro incidente con i miei genitori ha in qualche modo cambiato la mia idea di mio padre.
Quando avevo 10 anni, o giù di lì, c'era probabilmente un periodo in cui mio padre aveva una relazione con un'altra donna. Non sapevo cosa volesse dire "relazione", in quel contesto, né il significato di "altra donna", ma stava succedendo qualcosa di brutto per mia madre. Io ero coinvolto in uno strano, piccolo complotto. Abbiamo guidato fino ad un motel a San Pablo Avenue, tra Berkley e Oakland, e mia madre mi ha chiesto di andare ad una macchina parcheggiata lì e sgonfiargli le ruote. Fatto ciò, siamo tornati a casa.
Molto più tardi, quel pomeriggio, mio padre è tornato dalla sua riunione scolastica con la scusa di aver avuto una ruota inaspettatamente sgonfia. Ero confuso. C'era qualche eccitante avvenimento di cui non sapevo nulla? Era tutto molto intrigante, ma coinvolgeva mio padre in un qualche modo, e la cosa non mi piaceva.
Di nuovo, come con la storia dell'incidente, vedevo mio padre tramite gli occhi di mia madre, e ora, vedendo tutte quelle cose da un punto di vista di un uomo più vecchio, mi sembra che mi abbia dato una prospettiva di lei come di mio padre, un'intuizione, ad esempio, dell'insicurezza di mia madre e della sua dipendenza dagli altri.
Ho fatto le mie scuole prima del college in tempi normali, a parte due anni persi, ma la maggior parte di quel periodo è perso in una sorta di nuvola amnesica. Grandi eventi possono essere ricordati, probabilmente perché li ho tanto ripetuti, ma i dettagli della mia quotidianità sono del tutto persi.
Posso ricordare a quale scuola sono andato, ma non rammento il nome di nessun compagno di classe, e ricordo di solo tre insegnanti. Mia madre ha insegnato inglese alla mia scuola per un anno, ed il fratello di mia madre, zio Harry, è stato il mio insegnante di algebra alle superiori. Ricordo anche che quando terminò di abbozzare un primo testo didattico, con l'intenzione di pubblicarlo l'anno successivo per i suoi studenti, mi ha chiesto di leggerlo tutto e di controllare che non ci fossero errori, il che suonava molto come un complimento. Il terzo insegnante, il signor Frederick Carter, insegnava musica in tutte le classi, conduceva l'orchestra scolastica e guidava la banda del ROTC*.
La musica è sempre stata una parte importante della mia vita.
Pensandoci, c'è il nome di uno studente che spicca nella nebbia. Rick Mundy. Era un fastidioso sbruffone, che amava fare cose ambigue con wurstel crudi ad un piccolo locale da pranzo attraverso Grove street dall'high University.
Prima delle superiori, ero un po'-troppo-alto, po'-troppo-giovane, po'-troppo-sveglio
ragazzino che scivolava dal sicuro "me" della pre-adolescenza verso il terrificante "Io" dell'essere una persona reale che esisteva indipendentemente da chiunque altro. Non l'ho vista arrivare e non ero realmente cosciente della cosa quando è successa, ma in qualche modo, molto gradualmente, c'è stato un cambiamento. Dove, prima, se colpito da qualcuno mentre giocavamo avrei guardato le mie gambe e pensato "Oh, c'è del sangue; la mazza lo ha provocato e le mie gambe fanno male", ora cominciavo a pensare in termini di "Sono stato colpito da una mazza; sanguino, e ho una gamba dolorante."

L'aspetto terrificante è stato realizzare che avrei dovuto prendermi la responsabilità per ciò che mi sarebbe accaduto. Prima, ci sono sempre stati i miei genitori a mettere a posto le cose, risolvere i problemi, e aver cura di me. Invece, quando la coscienza dell'ego (se così si chiama) iniziò a farsi vedere, ho interagito meno passivamente con le altre persone.
Ero un bambino prodigio. Non ho mai pensato a me stesso in termini di intelletto o intelligenza, ma sapevo che mia madre mi considerava piuttosto avanzato e più capace degli altri della mia età. Sapevo fare questo e quello sul piano e sul violino, e scrivevo poesia. Crescendo, l'atmosfera attorno a me era sempre carica di aspettative verso un mio poter fare di più e farlo meglio.
Odiavo le lotte. Non vedevo nulla di male nell'andarmene il prima possibile da qualunque situazione dove potevano essercene, poiché la violenza fisica non era parte del mio mondo; non vi apparteneva, e se ero chiamato fuori da una battaglia, tanto di guadagnato. Non traevo nessuna soddisfazione nel colpire o essere colpito.
Ad un certo momento verso l'età di cinque o sei anni ho scoperto le biglie. C'era una pista di biglie vicino al recinto nel cortile della scuola. La pista era una classica: tre buche fuori dall'inizio, poi indietro, fuori ancora e un'altra volta, poi ritorno (e se eri il primo, vincevi alcune biglie dagli altri ragazzini). Avevo un buon lancio, e guadagnavo un leggero vantaggio nel secondo tiro. Qualche volta vincevo biglie in agata, agata vera. Non potevi capire se la tua biglia fosse stata di vera agata, a meno che non rompesse un'altra biglia, e se fosse stata la tua a rompersi, non era agata e tu avevi perso una biglia per capirlo.
C'erano troppi ragazzini più grandi di me a quella scuola, quindi ho creato una pista da biglie dietro casa, nel cortile. Dopo un sacco di lavoro, feci una pista migliore di quella che c'era a scuola, e diventai piuttosto bravo.
Il mio cortile aveva una staccionata che lo divideva da quello del vicino. Era completamente ricoperto di caprifoglio, così che la staccionata era totalmente occultata. La pianta teneva in piedi la recinzione, più che l'opposto. Era un'immensamente alta, immensamente spessa, immensamente lunga massa di quello che sembrava essere una pianta autoreggente di caprifoglio, coperta con piccole foglie che crescevano in direzioni opposte l'una all'altra, e milioni di piccoli fiorellini ovunque.
Ovviamente, sapevo che c'era davvero una staccionata sotto, perché avevo un'entrata segreta ai miei tunnel dentro la massa di caprifoglio, tunnel di cui nessun altro sapeva nulla. Era il mio posto segreto. Entravo nel tunnel da un lato, attraverso un piccolo buco dove le tavole della staccionata erano scomparse, fino ad un tunnel parallelo dall'altra parte. Una volta lì dentro, dentro la mia capsula, avrei strappato la base di un fiore e avrei assaporato la gocciolina di dolce nettare che ne scorreva fuori. Era totalmente calmo; nemmeno i rumori delle macchine, che normalmente andavano su e giù per Rose Street, potevano essere uditi. Non avevo bisogno di muovere i miei occhi per vedere tutt'attorno. Non avevo bisogno di respirare. Non vedevo nessuno, e nessuno poteva vedere me. Non c'era tempo lì. Piccoli insetti che sarebbero dovuti strisciare sulla pianta o sulle vecchie, rotte tavole, semplicemente rimanevano immobili. Ovviamente, quando io mi distraevo e poi tornavo a guardarli erano in posizioni diverse, ma mentre li guardavo no, erano fermi. Le sole cose che si muovevnoa erano le fantasie, e i quadri che la memoria del mio passato e del mio futuro dipingevano, quando ero nel posto del caprifoglio.
Il sapore del caprifoglio era una connessione magica con questo mondo dove ogni foglia ed insetto erano amichevoli e io ero un'intima parte di tutto.
Un giorno qualcuno ha deciso che quella staccionata era troppo marcia e che tutto, il vecchio legno e le vecchie piante, dovevano essere sostituiti con qualcosa di nuovo, pulito e più sicuro. Ero distrutto. Quando ho pianto, nessuno ha capito il perché.
Ma c'erano altri posti dove potevo andare, per stare nel mio mondo privato. Diventai uno specialista in cantine. Mia madre lo chiamava nascondersi, ma io la vedevo come una fuga. Da cosa? Beh, ad esempio dal dover esercitarmi col pianoforte. Ogni giorno, appena finivo un compito, un esercizio che avrei dovuto eseguire venti volte al giorno, potevo spostare un altro stuzzicadenti dalla scala di Sol acuta della mano destra alla scala bassa della mano sinistra. Ma mia madre non sembrava notare mai la grandezza della pila "completata"; guardava solo la pila del "da fare" che diminuiva. Non sarebbe stato etico muovere uno stuzzicadenti da una pila all'altra - sarebbe stato imbrogliare - ma se uno stuzzicadenti fosse accidentalmente scivolato tra i tasti, la mia coscienza sarebbe stata pulita, e sarebbe sembrato un caso.
Oltre alla cantina di mio zio David, la prima che ho davvero conosciuto bene è stata quella del nostro vicino, il comproprietario della staccionata caprifoglio. Apparteneva ad un vecchio, vecchio uomo il cui nome era signor Smythe, pronunciato con una lunga "i" e un dolce "th", che facesse rima con "blithe" o "scythe".
Era un libraio, era l'agente che rimediava a mio padre i suoi libri in carta di cellulosa. Ma dal signor Smythe aveva ricevuto anche tanti libri di letteratura russa. Ricordo la bibliografia completa di Tolstoj, dozzine di grossi tomi di appunti e memorie e liste di cose da fare, mentre io tra tutto questo riuscivo a comprendere, non essendo in cirillico, solo il nome dell'editore nella prima pagina, e che il libro era delle Edition d'Etat, e pubblicato a Moscou. Il mio precedente vicino viveva con sua figlia e alcuni parenti. Non ho mai conosciuto nessuno di loro.
D'altronde, sicuramente ho conosciuto la collezione di libri della loro cantina, ed era incredibilmente grande. Migliaia di libri, tutti in pile impolverate, in lucidi bauli di legno d'arancio. Ogni angolo e fessura rivelavano qualcosa di nuovo. Ero sempre il benvenuto a ficcare il naso e curiosare, e ogni volta fossi andato dal signor Smythe avrebbe detto "Stringimi la mano, giovane uomo, e potrai dire di aver stretto la mano che ha stretto la mano del signor Lincoln". Pare che quando fosse un ragazzino, suo padre lo abbia portato all'insediamento di Lincoln. Avrei quindi stretto la sua mano, e sorriso, e sarei corso via, attendendo un altro giorno per continuare la mia esplorazione della sua magica collezione.
In quel periodo sviluppai una passione per le collezioni di francobolli.
Visitavo regolarmente i grandi uffici della Bank of Italy (ora conosciuta come bank of America, credo) e le segretarie mi permettevano di setacciare i cestini e staccare e prendere quei francobolli che non arrivavano mai nella posta normale dei miei genitori.
Mia madre aveva conservato molte lettere e cartoline dei tempi del college a Pullman e del suo viaggio in Egitto, e queste avevano dei francobolli davvero vecchi, più vecchi di me, francobolli che con cura staccavo e identificavo nel catalogo di Scott. Poi ho scoperto il cestino vicino la scrivania del signor Smythe, ed era pieno della carta in cui venivano avvolti i libri che riceveva da tutto il mondo. Francobolli dalla Cecoslovacchia, dall'Ungheria, dalla Jugoslavia, e da molti altri posti inimmaginabili.
Il signor Smythe mi scoprì una volta con il naso nel suo cestino. Ero pietrificato dal timore che mi credesse una spia o un maleducato, ma con mio grande sollievo è rimasto stupito che qualcuno potesse trovare valore negli imballaggi dei suoi libri, piuttosto che nei libri in sé. Ha detto che sarebbe stato un piacere per lui tenermi da parte i francobolli dei pacchi e conservarmeli in una piccola scatola che avrebbe messo su uno scaffale vicino la scrivania. Avrei potuto dare un'occhiata alla scatola ogni volta che avessi voluto esplorare un po' i francobolli, ed era sempre piena di meraviglie, con facce strane e da strani paesi. Non penso di aver detto "Grazie", ma di sicuro ho aggiunto molti nuovi paesi sconosciuti alla mia collezione.
Negli ultimi anni ho tenuto una scatolina nell'armadio del mio ufficio, ed ogniqualvolta ho ricevuto un pacco dall'imballaggio interessante, ho preso le mie forbici e ho tagliato via il francobollo, per metterlo nella scatolina. Un giorno verrà da me un ragazzino tra i sei e gli otto anni, eccitato dall'avere appena scoperto le meraviglie dei francobolli. Avrà tutta la scatolina in regalo, da un vecchio uomo ad un giovane ragazzino. Si ricorderà di me solo come quel vecchio brizzolato che aveva un sacco di libri nel suo ufficio e riceveva molta posta da tutto il mondo.
E, forse, gli stringerò la mano, e gli dirò che ora potrà dire di aver stretto la mano che ha stretto la mano di uno che ha stretto la mano del signor Lincoln.
Anche noi avevamo una cantina, in casa. In questo spazio ormai ben conosciuto, ho messo su il mio primo laboratorio chimico. Penso si chiamasse Gilbert Chemistry Set [Set Chimico di Gilbert, N.d.T.], e conteneva veri prodotti chimici, come il bicarbonato di sodio e l'acido acetico diluito, nonché l'incomprensibile legno di Campeche. A tutt'oggi, non ho ancora capito cosa sia il legno di Campeche, o cosa ci si dovrebbe fare. Ma continuavo ad aggiungere qualunque cosa trovassi a questa collezione. Materiale dal supermercato giù al viale, polveri e liquidi che trovavo in ferramenta e garage. Le cose frizzavano, profumavano, e bruciavano, e cambiavano colore. Sapevo che se avessi unito insieme abbastanza sostanze, ogni combinazione sarebbe stata nuova, e avrebbe prodotto nuovi meravigliosi risultati.
Il retro della nostra cantina, l'area sotto la parte frontale della casa, era un posto con un ché di misterioso, e decisamente particolare. Un amico di mio padre, il signor Peremov, faceva affari vendendo un qualche tipo di attrezzatura, e teneva nella nostra cantina grossi sacchi con tavole in legno di diverse grandezze e forme. Quella parte di cantina aveva un pavimento sporco e spoglio, in pendenza, e quei grossi sacchi promettevano ogni sorta di grandi possibilità - ma quando ho provato a mettere a frutto il loro contenuto, mio padre mi ha trovato e mi ha detto che non andavano toccati, per quanto non mi abbia dato alcuna ragione per non farlo. Ho sviluppato una teoria, che le cantine sono posti dove si trovano tesori, siano questi organi a canne, francobolli o tavole in legno, specialmente negli angolini nascosti.
A quattro case da noi c'era un'altra cantina, ed era così scura e spaventosa che ho convinto un amico, Jack, a venire con me. Siamo riusciti a trovare e ad accendere una piccola lanterna al cherosene e abbiamo esplorato tutta la cantina fino al muro di dietro. Non abbiamo trovato nessun tesoro quella volta, ma siamo stati fortunati comunque, considerando che quando mia madre ci ha trovati più tardi eravamo tutti zuppi di cherosene ed è stato un miracolo che non abbiamo preso fuoco.
La passione per le cantine è diminuita parecchio, per un periodo.
Alcuni anni dopo, mi è stata offerta la possibilità di fare un tour privato delle cantine della mia strada, a partire da quella di mio zio. L'invito veniva da una ragazza, un paio di anni più grande di me, ed ero intimorito in un modo completamente nuovo, ma intrigato e pronto ad esplorare quel nuovo tipo di cose misteriose che mi si sarebbero potute rivelare. Ma mia madre ha fatto sentire di nuovo la sua presenza, e il programma è stato annullato.
Uno psicologo con niente di meglio da fare potrebbe divertirsi a spiegare perché mai ho deciso di mettere tre cantine nella casa che ho aiutato i miei genitori a costruire, poco prima della seconda guerra mondiale, qui ad Almond.
Il mio insegnante di violino era un signore russo, un compatriota di mio padre coinvolto nella chiesa ortodossa. Ho dovuto suonare in recite in strani salotti, e girare le pagine per gli accompagnatori alla prima generazione di figlie russo-americane, che cantavano. Il mio insegnante di russo era emigrato con mio padre, e l'ho provocato tanto che alla quarta (e ultima) lezione ha tentato di darmi un calcio (io mi ero riparato dietro il suo tavolo da pranzo) e sono riuscito a dargli un morso. A scatenare tutta questa violenza è stata la sua insistenza nel farmi apprendere la struttura del ganere femminile, ed è stato solo molto più tardi che ho capito tutto e realizzato che, ovviamente, intendeva dire genere.
C'era un'altra fuga che amavo e prendevo anche come sfida personale, ed era provare ad andare da Spruce Street giù a Walnut Street, attraverso Like Oak Park, andando di ramo in ramo sugli alberi, senza mai toccare strada, a eccezione di quando avrei dovuto attraversare la strada per andare dall'altra parte. Una volta, mi sono appeso ad un ramo che non mi ha retto e sono caduto al suolo, sbucciandomi un ginocchio, ma non l'ho detto a nessuno.
Un giorno sono stato nella camera degli uomini, nel parco. C'erano disegni notevoli sulle pareti, e mi sentivo imbarazzatamente colpevole per averli visti. Anche di questo non ho mai parlato con nessuno.
Penso che i miei genitori fossero terrorizzati all'idea che avrei potuto sapere qualcosa che fosse anche solo collegato al tema del sesso. Ognuno di loro trovava che questo aspetto della mia educazione fosse compito dell'altro. Ho provato a capire il possibile dall'ovvio meccanismo della masturbazione, ma non c'era nulla nella libreria dei miei genitori che mi facesse capire la metà femminile della questione. Era un periodo di prudenza e totale modestia, e davvero non capivo e, se pure capivo, non me ne avvedevo.
Dormivo in un largo letto sulla terrazza, nella parte ovest dell'ultimo piano, nella nostra casa a Rose and Spruce. Era per metà aperta agli elementi, e per l'altra metà coperta e protetta. Mio padre dormiva in un letto più piccolo del mio, dall'altra parte del terrazzo. E mia madre aveva il suo letto matrimoniale nella grande camera da letto dentro. Non dormivano mai insieme, che io sappia.
Non avevo amici stretti della mia età, e probabilmente non ero considerato miglior amico da nessuno, ma conoscevo delle persone interessanti, più vecchie di me. Quando avevo circa otto anni, c'era un ragazzo di nome Franklin che viveva ad Oxford Street, ed era proprio un tipico 14enne. Costruiva fantastici modellini di aeroplani fatti di legno di balsa e carta di riso, tenuti insieme da una colla per modellini, che faceva colare dall'alto. Andava poi dall'altra parte della strada, a Live Oak Park, e girava l'elica ancora e ancora, fino a far fare all'elastico interno tre giri, per poi mettere la sua magica paraffina liquida sulla coda, accendere un cerino e appiccare un piccolo fuoco. Quando bruciava bene, lo lasciava andare per poi vedere il lampo arancione attraversare il cielo e schiantarsi infiammato.
Mia madre trovava fosse la cosa migliore mandarmi ad una scuola che riflettesse la dedizione del sistema agli aspetti "moderni" dell'educazione, come tecniche di insegnamento sperimentali e psicologia infantile. C'era una scuola per ogni livello, e io le ho frequentate tutte. La maggior parte di questi esperimenti all'avanguardia sono falliti, insieme ad altri fenomeni sperimentali che erano, e sono ancora, una parte della filosofia di Berkeley.
Come la maggior parte degli altri bambini brillanti, ho imparato a non rispondere volontariamente alle domande in classe quando era ovvio che nessun altro sapeva la risposta. Causava risentimenti e sguardi violenti da parte dei miei compagni di classe, e mi faceva escludere, cosa che non volevo. Quindi mi sono sfidato in un modo che nessun altro sapeva. Avrei tentato di rispondere alle domande dei test senza dare più di un occhiata ai miei libri, basandomi solo su ciò che ho imparato dalla lavagna e dalle discussioni in aula.
Alle scuole medie, i miei unici piaceri erano i corsi di musica e poesia. E disegno tecnico. Non ricordo null'altro.
Alle superiori, andavo bene in tutto ciò che era semplice ed ovvio (come la matematica, la fisica, la chimica e, come ho detto, la musica), che scorreva praticamente senza fatica, mentre tutto ciò che richiedesse organizzazione arbitraria ed illogica (come la grammatica, la storia e lo spelling) mi riuscivano difficili, essendo imprevedibili e capricciose.
Un esempio interessante di questa dicotomia si poteva vedere all'ultimo anno delle superiori, dove ho sostenuto due esami preparatori per il college. Uno era il Soggetto A, un requisito dell'Università della California, dato a chiunque potesse essere effettivamente ammesso all'università, per dare alla commissione la certezza di un'alfabetizzazione di base. Sai fare lo spelling? Sai far concordare verbo e soggetto? Dividi le frasi all'infinito? Sai scrivere un saggio breve? Ho fallito miseramente quest'esame, avendo così il piacere di dover studiare "Inglese per cretini" al primo anno di Berkeley, se fossi poi andato all'Università della California.
Ad ogni modo, il secondo esame era un concorso per una borsa di studio all'università di Harvard. E qui sono riuscito a farcela; in effetti, l'ho passato con un punteggio abbastanza alto da vincere una borsa di studio per tutti i corsi pagati ad Harvard. Ho accettato la borsa di studio e sono andato a Cambridge, Massachusetts. Avevo 16 anni.
A Cambridge presi sistemazione nella Wigglesworth Hall, proprio nel campus di Harvard, e mi iscrissi ai corsi di matematica, chimica, fisica e psicologia, con l'obbiettivo segreto di unire tutto sotto la chimica organica. Mi ritrovai ad essere uno studente in un sistema sociale che mi era totalmente alieno. Tutto era misurato in base a quale fosse la tua famiglia, dove avessi studiato prima, o anche solo quanto fosse ricca la tua famiglia. La mia famiglia era sconosciuta, avevo frequentato ad una scuola pubblica, e né i miei genitori, né i miei professori, né io, come figlio di professori, eravamo granché ricchi, o con una prospettiva di diventarlo presto. Per cui, fui considerato una non-persona. Inoltre, essendo più giovane della grande maggioranza degli studenti, ho passato un anno senza sviluppare alcuna relazione personale con nessuno. Ero un pesce fuor d'acqua, ed era deprimente.
Gli Stati Uniti furono coinvolti nella seconda guerra mondiale, e il servizio alle armi dava un tono di grandezza ed indipendenza. Nel mio secondo anno ad Harvard entrai nel programma di addestramento V-12 per la marina americana, che mi avrebbe portato davanti ad una commissione se solo fossi riuscito a completare la mia laurea quadriennale in una qualche materia. Ma le mie prospettive scolastiche erano scarse, e sapevo che non sarei sopravvissuto altri due anni. Abbandonai le aspirazioni di divenire ufficiale, e mi ritrovai al Pier 92, il punto di incontro di uomini arruolati a New York. Sopravvissi a sei settimane di campo di addestramento invernale a Sampson, New York, per poi andare in un corso di addestramento a Norfolk, Virginia, uscendone fuori con una posizione di [controllore del fuoco] di terza classe.
La mia partecipazione nella seconda guerra mondiale fu un'esperienza che non ha mancato certamente di avventure, ma c'erano tanti aspetti negativi che nemmeno sforzandomi riuscirei a ricordarli tutti. Un evento, ad ogni modo, mi è rimasto particolarmente impresso, poiché mi ha portato ad un'osservazione che ha formato il resto della mia vita. Ho scoperto il meraviglioso mondo della psicofarmacologia e, cosa più importante, il potere del controllo della mente sul corpo.
Ero nella flotta di un cacciatorpediniere (USS Pope, DE-134) nel mezzo dell'Atlantico nel mezzo dell'inverno, nel mezzo della campagna anti-sommergibile, nel mezzo della guerra. Avevamo appena finito la nostra perlustrazione anti-sommergibile nell'area delle Azzorre, dove gli Stati Uniti avevano messo enormi quantità di carburante
a disposizione dei neutrali portoghesi che, in cambio, ne davano a chiunque pagasse per averlo. Quindi i sommergibili tedeschi venivano e si rifornivano, e poi i cacciatorpedinieri americani venivano e si rifornivano. L'unica regola era che due bandiere diverse non potevano entrare nel porto a meno di 24 ore di distanza l'una dall'altra. Il guardia e ladri nell'Atlantico, poco fuori al porto, era estremamente rischioso, e ha portato ad ogni tipo di orribili interazioni militari. Ma, quella volta, una volta fatto il pieno e raggiunto il mare aperto incolumi, abbiamo preso la rotta per l'Inghilterra. C'era un sacco di noia, e alcuni momenti di intensa paura, poi accadde qualcosa che mi prese come un trauma personale. Un migliaio di miglia dalla costa Inglese sviluppai una grave infezione, non si sa bene come, sul polpastrello del mio pollice sinistro. Si mise in questa strana posizione, e è penetrò nella carne e i tessuti direttamente all'osso. Era dolorisissima, e fui visitato dal nostro medico di bordo, conosciuto con il nomignolo affettuoso de "il Collega dell'Ulcera".
La linea di azione del trattamento aveva un semplice obiettivo: proteggermi dal dolore. Un operazione chirurgica era assolutamente necessaria, ma non c'era modo di operarmi in mare. Quindi il mio problema al pollice andò peggiorando di giorno in giorno, e mi venivano date con regolarità piccole iniezioni di morfina.
Questa è stata la mia introduzione agli effetti di una droga sulla percezione del dolore. L'uomo con l'ago interrompeva una buona partita di poker per chiedermi come mi sentissi. Io guardavo il pollice e dicevo "Un po' peggio", o "un po' meglio", e mettevo il mio braccio a disposizione per un altra iniezione di morfina, per poi reimmergermi nel poker. Sapevo che il dolore era lì, e potevo quantificarne l'intensità con accuratezza, ma non mi infastidiva. Potevo giocare a poker, capire gli altri, bluffare e puntare con astuzia. Ero affascinato da come una persona ferita, in agonia, potesse trovare il suo dolore di poca rilevanza con la semplice somministrazione di un po' di sostanza estratta da un qualche fiore di papavero da qualche parte nel mondo.
Si intende questo per analgesia centrale. Il dolore non è finito; è ancora lì. Il punto di azione non è il pollice, ma il cervello. Il problema semplicemente sembra non essere più di proprio interesse. La morfina è una droga decisamente degna di nota.
Quando attraccammo a Liverpool, scoprii che non esisteva più un ospedale per la marina, che ora era tutto in mano all'esercito. Il loro ospedale era a Watertown, vicino Manchester, verso l'interno. Fui messo in lista per esser portato lì con l'ambulanza - non subito, ma presto. Nel frattempo, la mia casa personale, la USS Pope, era attraccata nella banchina vicino ad una nave britannica, una fregata battezzata come HMS Wren. E dal momento che ero un insignificante ufficiale, e c'erano altri insignificanti ufficiali sulla Wren, sono stato invitato a bordo per condividere compagnia e rhum.
Ricordo di me in quartieri ospitali, rhum in mano, mentre mi davano supporto morale per il mio imminente trasferimento in un qualche remoto ospedale controllato e gestito dall'esercito. I ricordi sono amicizia e risate. Anche il rhum è una droga piuttosto efficace.
Poi è venuto il grande mostro di un ambulanza che mi ha portato da Liverpool a Watertown, consegnandomi a dei funzionari dell'esercito dalla giacca bianca. Una giovane infermiera si è offerta di mettermi a mio agio con un bicchiere di succo d'arancia, per dissetarmi, ma nel fondo del succo d'arancia ho visto l'inconfondibile strato di soliti bianchi cristallini non disciolti. Un ammasso di stupidi soldati non mi avrebbero ingannato! Il succo era ovviamente una sofisticata copertura per la somministrazione di un qualche potente sedativo o preanestetico che avrebbe dovuto rendermi placido e rilassato per quanto riguarda le loro scelte mediche.
Decisi di mettere alla prova la mia mascolinità e il mio controllo della situazione semplicemente negando ai cristalli bianchi il loro potere. Avrei bevuto l'intera mistura, ma sarei stato sveglio e lucido. Sarei stato portato in sala operatoria come un lucido marinaio che avrebbe sfidato i chirurghi dell'esercito con percezioni analitiche e acute domande che avrebbero rivelato loro l'integrità del mio status mentale.
Non ha funzionato. La droga rimasta nel fondo del mio succo d'arancia era sicuramente una droga molto efficace, perché cedetti e caddi presto in stato di completa incoscienza. Non ricordo nulla dell'anestetico Penthotal che mi fu somministrato via endovena per l'operazione. E più tardi mi fu detto della stranissima mezz'ora in più al solito che ci ho messo per riprendermi dagli effetti.
L'infezione all'osso è stata chirurgicamente rimossa, e ora il mio pollice sinistro è circa 2 centimetri più corto del destro.
Mi sono quindi ritrovato nell'esercito durante la mia convalescenza, lontano dalla costa e, nuovamente, un pesce fuor d'acqua. Ero un marinaio in una base militare. Scoprii che il codice identificativo per i pagamenti nell'esercito era composto esattamente da una cifra in più, rispetto la marina, così aggiunsi un numero al mio codice e spesi i soldi dell'esercito in tutti i bar della zona. Le persone che vivevano da quelle parti erano piuttosto familiari con i militari, ma non erano abituati ad un uniforme della marina. Tuttavia, passeggiando per la zona senza alcuna attenzione dalla polizia militare locale, hanno immaginato che fossi una qualche forza militare alleata - olandese, magari, o della Francia libera. In ogni caso, sicuramente non potevo essere un nemico. Ed essendo la mia mano ed il mio braccio sinistri fasciati in un enorme benda, ero senza dubbio un ferito di guerra e offrirmi da bere, per la gente del posto, era il minimo che potesse fare per sdebitarsi con chi aveva dato il suo braccio sinistro per la Madrepatria. Bel dovere. Finalmente guarii, e mi dovetti nuovamente abituare alla realtà militare, ma nel frattempo avevo imparato qualche cosa.
La prima era semplice, e non molto sorprendente: non c'era comunicazione tra l'esercito e la marina, il che significava che il caos nei pagamenti che avevo scatenato aggiungendo una piccola cifra si è sicuramente confuso negli avvenimenti.
La seconda cosa non me l'aspettavo per nulla, ed è stata ciò che mi ha iniziato alla mia carriera come psicofarmacologo. Mi hanno detto che la "droga" bianca depositata sul fondo del mio succo d'arancia, che mi gettò con violenza dal mio essere lucido e ostile nei confronti della chirurgia all'essere un comatoso soggetto passibile di ogni manipolazione, era solo zucchero non dissolto.
Una frazione di grammo di zucchero mi ha reso incosciente, poiché pensavo che potesse fare solo quello. Il potere di un semplice placebo di alterare radicalmente il mio stato di coscienza mi ha profondamente impressionato. Il contributo della mia mente all'effettiva azione della droga era certamente reale, anzi, penso che questo contributo rappresenti una massima parte dell'effetto.
Negli anni successivi, sono arrivato a credere che la mente È il fattore massimo nella definizione dell'azione di una droga psicoattiva. Ci insegnano ad assegnare il potere della droga alla droga in sé, senza considerare le persone a cui andrà. Una droga in sé può essere una polvere, un cucchiaio di zucchero, senza alcun valore curativo. Ma c'è una realtà personale sulla composizione della droga che gioca un ruolo maggiore nella definizione di eventuali interazioni. Ognuno di noi ha una propria realtà, e ognuno di noi avrà una relazione unica e personale con una droga.
Lo shock dell'avvenimento dello zucchero nel succo d'arancia mi ha portato ad esplorare tutti gli strumenti che potrei usare per definire quella relazione. E quando gli strumenti necessari non sono, magari, conosciuti, devono essere scoperti o creati. Possono essere droghe che alterino lo stato di coscienza (come lo zucchero quando pensavo che fosse non-zucchero), o stati di trascendenza raggiunti in meditazione. Possono essere momenti di orgasmo, o momenti di fuga, o sogni ad occhi aperti che ti portano per qualche momento in preziose fantasie e fughe dalle responsabilità. Tutti questi sono tesori dello spirito o della psiche che permettono l'esplorazione su sentieri che sono indefiniti e completamente individuali.
Decisi allora, e con completa convinzione, che le droghe avrebbero potuto rappresentare gli strumenti più sicuri e disponibili per questi studi. Sarei quindi diventato un farmacologo. E, considerando che tutta l'azione si concentra sul cervello, sarei diventato uno psicofarmacologo.
Ritornai infine sulla West Coast e rientrai all'Univerità della California, a Berkeley. Persero ogni traccia della mia passata prova, e mi cencessero di ripeterla. Fallii ancora, ma - con l'aiuto di vari stress ed infermità che ci si aspetta da un veterano della seconda guerra mondiale - mi fu permesso di ripeterla dopo un anno. Il mio terzo tentativo fu un clamoroso successo, ed ero allora completamente a mio agio con quello che si aspettavano da me. Il mio saggio breve (riguardo un ipotetica civilizzazione nucleare pre-egiziana) fu perfetto nei toni e nella coerenza con la traccia, nonché immacolato nella punteggiatura.






(*Le Reserve Officers' Training Corps sono programmi paramilitari attivi nei college americani. Qui si parla della banda ufficiale del programma. N.d.T.)

1 commento:

  1. Vorrei aiutarti a tradurre PiHKAL e TiHKAL, hai un indirizzo mail al quale possa scrivere?

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